Resoconto del convegno su Dangerous oral histories: risks, responsibilities and rewards, Queen’s University Belfast, 28-29 giugno 2018.
Di Roberta Garruccio
All’inizio dell’estate si è tenuto il convegno annuale della società britannica di storia orale, organizzato in collaborazione con lo Oral History Network Ireland, ospitato dalla Queen’s University a Belfast e dove si sono incontrati circa duecento studiosi, non solo europei.
La scelta di Belfast come sede della conferenza non è stata affatto casuale perché nell’aprile di quest’anno ricorreva il ventesimo anniversario dell’accordo del venerdì santo, che faticosamente chiuse i trent’anni di ‘conflitto settario’, o ‘guerra a bassa intensità’ come è stata definita quella che ha insanguinato l’Irlanda del nord tra gli anni ’60 e gli anni ’90. Proprio la ricerca dedicata ai Troubles e all’ombra lunga del conflitto sugli ultimi due decenni di storia dell’Ulster è diventata infatti l’oggetto privilegiato di molti degli interventi che si sono sgranati nei due giorni dei lavori.
Ancora meno casuale è stata quindi la scelta del tema della conferenza: i rischi e le responsabilità che accompagnano tanto la pratica dell’intervista ai fini della ricerca storica, quanto la pratica della raccolta e della conservazione delle testimonianze (una delle relazioni è stata dedicata a ripercorrere il caso delle interviste sui Troubles raccolte per iniziativa del Boston College e poi diventate oggetto di una controversia giudiziaria internazionale non ancora conclusa). Si tratta di un tema che evidentemente tocca i risvolti etici e legali dell’intervista, ma che tocca anche la riflessione attorno agli elementi che definiscono la soglia di accettabilità di questi rischi. Si tratta parimenti di un tema che richiede di ragionare in modo critico – per casi e comparazioni di successi e di fallimenti – tanto attorno agli strumenti per la valutazione di stessi questi rischi, quanto attorno alle misure di mitigazione; e di discutere sia sui processi di formazione alla storia orale, sia sull’insegnamento della storia orale nei percorsi universitari, sia sugli interventi dei comitati etici degli atenei nei progetti di storia orale. Si tratta inoltre di un tema che chiama in causa le responsabilità inedite che sorgono dall’impiego per la storia orale degli strumenti emersi nell’era digitale. Si tratta di un tema che sollecita anche per questo a considerare i premi, in termini di conoscenza originale prodotta, che derivano dal fare storia orale su argomenti e terreni di ricerca particolarmente nevralgici, critici, difficili, su sentieri non battuti prima, ma anche a considerare le implicazioni che emergono dal fare storia maneggiando contenuti che possono avere un potenziale diffamatorio. Si tratta infine anche di una la riflessione attorno agli elementi che sbilanciano la ricerca verso eccessi di azzardo e che mettono così a repentaglio sia il ricercatore, sia la ricerca stessa, sia l’intervistato, sia il mondo o i mondi a cui l’intervistato appartiene.
Il convegno è stato organizzato da un gruppo di studiosi particolarmente folto (Anna Bryson, Arlene Crampsie, Ida Milne, Sean O’Connell, Rob Perks, Adrian Roche, Mary Stewart, Juliana Vandegrift), e si è strutturato su cinque sessioni parallele (ciascuna articolata su circa venticinque panel), su due sessioni interattive, su quattro laboratori partecipati, e due plenary talks.
Gli argomenti delle relazioni e dei workshops hanno quindi coperto un ventaglio molto largo di sotto-temi. Da un lato il convegno ha indagato l’ambito della metodologia (sicurezza del ricercatore, pratiche di ricerca pericolose, etica dell’intervista; copyright e ownership dell’intervista, consenso informato da parte dell’intervistato, protocolli e standard di conservazione delle fonti orali, ma anche casi controversi e problematici di apertura e riuso di fonti orali costruite e archiviate in passato); sotto questo profilo è stata dedicato un particolare spazio alle conseguenze dell’entrata in vigore (nel maggio di quest’anno) del nuovo regolamento generale emanato dall’UE in materia di protezione dei dati personali, il GDPR.
Da un altro lato il convegno ha invece dissodato una vasta area di spazi di indagine su argomenti sensibili e controversi, mettendo a fuoco contesti di ricerca non solo europei: interviste on the edge (universi criminali, universi illegali); interviste con sopravvissuti; interviste alle vittime (urgenza di consapevolezze diverse nell’intervistare, necessità di adattamento delle pratiche di ricerca ma anche dei prodotti della ricerca); rischi connessi alla divulgazione e disseminazione dei risultati della ricerca (ri-traumatizzazione, rotture drammatiche in ambito famigliare, di lavoro o di comunità come effetto dell’apertura dei risultati della ricerca); contesti processuali e contesti penitenziari (interazione con prigionieri e carcerati, interazione con personale di polizia e di sicurezza); contesti di conflitto e di lotta armata; contesti di abuso e in generale contesti violenti (il detto e il non detto attorno al trauma); contesti totalitari e post-totalitari; narrazioni di malattia, morte e fine-vita; narrazioni di pericolo ambientale e di rischio correlato al lavoro; narrazione correlate alla sfera della sessualità (discriminazione, malattia, sfruttamento e illegalità).
Si tratta di un elenco molto lungo eppure incompleto rispetto agli spunti che sono stati presentati a Belfast. È quindi particolarmente prezioso il fatto che la OHS, alla conclusione del convegno, abbia caricato sul proprio sito tutti gli abstract delle relazioni tenute dei due giorni dei lavori.
Per saperne di più, vedi il blog sul caso giudiziario relativo al Belfast Project, il dossier AISO Buone pratiche per la storia orale e l’articolo di Bruno Bonomo, Alessandro Casellato e Roberta Garruccio, “Maneggiare con cura”. Un rapporto sulla redazione delle Buone pratiche per la storia orale (da “Il mestiere di storico”, VII, 2, 2016).