Oltre le letture convenzionali
Il ciclo di lotte del cosiddetto Autunno Caldo viene comunemente conosciuto come «il ’69 operaio», per distinguerlo dal «’68 degli studenti» con cui intrattenne rapporti talmente stretti da poter parlare di un unico «biennio rosso». Furono anni di fortissima conflittualità sociale che videro come epicentri simbolici prima le università e le scuole superiori, quindi le grandi fabbriche, in un movimento complessivo di contestazione del potere gerarchico e autoritario che vigeva in queste grandi «istituzioni totali»: alla protesta si unì da subito la costruzione di organi assembleari alternativi, espressione di un contropotere dal basso che fosse veicolo della voce di studenti e operai. Secondo una narrazione convenzionale, le istanze dei lavoratori dei grandi stabilimenti si estesero dai consigli di fabbrica al resto della società, erompendo dai cancelli dei complessi industriali e travolgendo il territorio circostante. I sindacati, per quanto all’inizio colti di sorpresa, si fecero latori e promotori di questa ondata innovatrice e misero imprese, enti pubblici e partiti politici di fronte alla necessità di dare risposte nuove ai bisogni sociali di base: la casa, la sanità, l’istruzione, i trasporti, le mense, i servizi per l’infanzia, il tempo libero.
Questa versione molto diffusa delle dinamiche del ’69 operaio si basa su un modello schematico estremamente semplice e monodirezionale: partendo dalla scuola e dall’università il movimento innovatore sarebbe passato alla grande fabbrica, dove divenne richiesta di riforma sociale complessiva investendo quindi l’intero territorio. Tutta la società che non si identificava direttamente con le istituzioni educative e con il mondo industriale più rappresentativo avrebbe giocato in questa visione una funzione prevalentemente passiva, di adeguamento alle rivendicazioni elaborate e portate avanti altrove, più che mobilitarsi quindi sarebbe stata mobilitata.
L’articolazione territoriale del conflitto in Toscana e nella Terza Italia
Eppure, la conoscenza diretta dell’esperienza toscana – così come le acquisizioni emerse dalla ricerca storica su diversi contesti a livello nazionale – spingono a ritenere che anche altri elementi ebbero un ruolo decisivo nello stesso svilupparsi della conflittualità, dentro e fuori la fabbrica: il mondo contadino e gli ambienti rurali della campagna urbanizzata, l’associazionismo cattolico di base, le reti sociali di quartiere, le tradizioni familiari, i luoghi di sociabilità popolare, non solo nella grande fabbrica ma anche a scala territoriale e nelle aziende piccole e medie, in cui svolgeva un ruolo di primo piano un’imprenditorialità di estrazione operaia, la diffusione della scolarizzazione e dei consumi di massa. A Firenze la reazione popolare all’alluvione del 1966 giocò una funzione importante nel definire come centrale il territorio nello sviluppo della conflittualità e dell’identità sociale. Un evento in grado di attivare comitati di base, case del popolo, sezioni di partito, strutture sindacali, parrocchie e studenti che costruirono relazioni in un certo senso uniche che avranno conseguenze anche negli anni successivi. I lavoratori e le lavoratrici che parteciparono al ciclo del conflitto industriale ebbero una composizione sociale molto più complessa di quella dell’operaio-massa prevalentemente maschio della fabbrica fordista, in cui agivano componenti culturali variegate e dalle molteplici origini. L’impressione, insomma, è che il filo che unisce «la centralità della fabbrica» alla «scoperta del territorio» non fu un filo a una sola direzione e in regioni come la Toscana – e in genere nella cosiddetta Terza Italia – non fu affatto occasionale.
Un altro sguardo sul 1969 italiano
Il convegno sul 1969 intende indagare il rapporto complesso, dinamico, poco studiato fra il conflitto sociale (e industriale in particolare) e la dimensione territoriale in cui si inserisce. Se questo è forse più evidente nella Terza Italia, è necessario verificarlo in tutta l’articolazione sociale nazionale, anche nei contesti canonici del «secondo biennio rosso» o nelle aree più periferiche. Non evidenziare cioè soltanto una semplice pluralità dei luoghi, quanto piuttosto analizzare la stratificazione territoriale del processo sociale, aprire quindi uno squarcio nella complessa pluralità che è presente nei luoghi. Si tratta di tracciare una cornice che non delimiti il campo di analisi soltanto in senso spaziale, ma riesca a comprendere un contesto dinamico di repertori di azione e di regolazione, di relazioni pubbliche e private, di modelli imprenditoriali e di culture del lavoro, che interagiscono e si modificano, provocando la (e adattandosi alla) rottura dell’Autunno Caldo. È in questa ottica che verrà indagato anche il ruolo del sindacato che, in maniera non sempre compiuta, viveva la contraddizione di essere da un lato sindacato in fabbrica e dall’altro sindacato generale e territoriale.
Il convegno, promosso dalla Camera del Lavoro Metropolitana di Firenze, si articolerà in tre sessioni, precedute da relazioni introduttive, a cui farà seguito l’ascolto di una testimonianza radiofonica e una tavola rotonda capace di garantire il raccordo fra passato e presente. Le tre sessioni saranno dedicate alle diverse articolazioni del rapporto conflitto-territorio: La società nelle rivendicazioni; Cultura e lavoro, culture del lavoro; Quadri locali del conflitto. Qui il programma della giornata.
Comitato scientifico: Cristina Arba (Coordinamento donne CGIL Firenze), Luca Baldissara (Università di Pisa), Stefano Bartolini (Fondazione valore lavoro), Franco Bortolotti (IRES Toscana), Pietro Causarano (Università di Firenze), Giovanni Contini (AISO), Gianfranco Francese (IRES Toscana), Stefano Gallo (ISMed – CNR), Gianluca Lacoppola (Segreteria CGIL Firenze), Edmondo Montali (Fondazione Di Vittorio), Stefano Musso (Università di Torino), Gilda Zazzara (Università Ca’ Foscari – Venezia).
L’iniziativa, essendo organizzata da soggetto qualificato per l’aggiornamento (DM 08.06.2005), è automaticamente autorizzata ai sensi degli artt. 64 e 67 CCNL 2006/2009 del Comparto Scuola, con esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi e come formazione e aggiornamento dei Dirigenti Scolastici ai sensi dell’art. 21 CCNL 11/4/2006 area V e dispone dell’autorizzazione alla partecipazione in orario di servizio.